Ross Music Box: intervista al cantautore Pocodigiorgio in occasione dell’uscita del suo primo disco dal titolo “La vita nel Cosmo”.
Pocodigiorgio nasce e cresce nella provincia tirrenica calabrese, a Paola. Inizia, molto presto, a suonare in alcune band locali come chitarrista. A diciotto anni decide che la musica lo accompagnerà per sempre e inizia a studiare in conservatorio dedicandosi al Jazz. Negli stessi anni inizia a fare esperienza in giro per l’Italia suonando in diversi su diversi palchi e festival italiani insieme a Federico Cimini con il quale collabora anche ai suoi primi due dischi: L’importanza Di Chiamarsi Michele e Pereira (Mkrecords).
Nel 2017 porta avanti il progetto strumentale Anomalisa, un quartetto Nu-Jazz, con il quale incide Unexpected (Alfa Music 2019), un concept album negli storici Abbey Road Studios a Londra cui seguono due tours europei ed un tour promozionale nelle principali città italiane.
Nel 2018, suonando il basso, collabora con gli Aquarama con i quali intraprende un tour europeo o e per i quali registra alcune chitarre nel loro secondo album “Teleskop” (2019).
Dopo un periodo vissuto tra Firenze e Perugia, Pocodigiorgio si trasferisce a Bologna. Sotto le Due Torri inizia a sentire la necessità di scrivere canzoni sue per prendersi cura si sé e per non lasciarsi schiacciare dalla solitudine di un tempo che divide le persone. Esce così oggi, 27 settembre 2024, il suo primo album d’esordio dal titolo ‘La vita nel Cosmo’ per Boc. Un disco che mi ha colpito dalla prime note evocando in me emozioni e atmosfere di quei club piccoli di provincia in cui vieni completamente rapito, senza distrazioni, da chi hai difronte sul palco. Questo disco riscalda l’anima.
Ho scambiato quattro chiacchiere con Pocodigiorgio in occasione dell’uscita del disco, una bella chiacchierata sulla sua musica e non solo.
Come e quando hai incontrato la musica per la volta?
Pocdigiorgio: “Questo è un fatto curioso. Se ci penso, i primi ricordi legati alla musica sono sempre ricorrenti.
Il primo fra tutti credo sia quello legato all’amore dei miei genitori per i Queen. In particolare, nella Saab di mio padre c’era un porta cassette nero con tutti i Greatest Hits dei Queen e qualche cassetta dei Police o Sting, e tanta altra musica che purtroppo mi sfugge, che sistematicamente diventava la colonna sonora dei nostri viaggi in macchina. Ricordo vividamente l’intro vocale di ‘You Don’t Fool Me’ e la chitarra di Brian May, che sanno proprio di anni ’90, mentre andavo con mia madre in giro per la Calabria. Ogni volta che partiva questo pezzo pensavo fosse musica aliena.
Il disco però che mi ha fatto venire la voglia di imbracciare la chitarra è stato senza dubbio ‘Live In Japan’ dei Deep Purple: il solo di Richie Blackmore su ‘Highway Star’ mi ha completamente sedotto, tanto che talvolta rimanevo solo in casa e lo mettevo su per fare un po’ di airguitar, cosa che faccio ancora di tanto in tanto quando sono preso bene”.
Quali sono gli artisti e gli album che ami e/o hai amato di più?
Pocodigiorgio: “Crescendo ho passato diverse fasi. Ho avuto quella da metallaro anche, ed è durata un bel po’. Sono arrivato poi al grunge, e l’adolescente dentro di me continua ad amare follemente i Soundgarden, che ho anche avuto la fortuna di vedere dal vivo nel 2012, e Chris Cornell di ‘Euphoria Morning’, per non parlare dei Pearl Jam, voci uniche, come tutte le voci del grunge che hanno lasciato una traccia di vero cuore nella musica.
Mi sono anche appassionato al Jazz ma più precisamente ad artisti come Wayne Shorter di cui amo i suoi interventi nei dischi di Davis, in particolare ‘ESP’, che è suonato inoltre da una band incredibile che ha rivoluzionato completamente la musica per come la conosciamo oggi. Ho amato ‘Black Market’ in particolare dei Weather Report, e ‘A Love Supreme’ di Coltrane sempre nel macro genere. Mi hanno anche lasciato tanto i King Crimson, specie ‘Red’. Ho scoperto poi David Crosby e il super progetto CSNY, di cui conosco molto bene ‘Déjà Vu’ di cui ho anche il vinile, una delle prime stampe. Non posso non citare i Led Zeppelin e dischi come ‘Houses Of The Holy’ e ‘Physical Graffiti’ a cui sono indissolubilmente legato per attitudine e intelligenza.
Sono cresciuto anche ascoltando tanto lo stra citato Dalla, alcune cose di De Gregori e Ivan Graziani, ma non posso ritenermi a oggi un fan diretto della scuola cantautorale.
Oggi la musica è diversa, e si consuma tutto più velocemente, i vecchi dischi rimangono invece. Amo lo stesso alcuni artisti che secondo me sono veramente riusciti a ricavarsi il proprio spazio vitale che ha già lasciato una traccia indipendente da meccanismi usa e getta, e portano con sé tutte le influenze che appartengono anche un po’ a me, come Brunori, Colapesce e Dimartino per citarne alcuni qui in Italia”.
Quali sono le emozioni che hanno ispirato la realizzazione de “La vita nel Cosmo”?
Pocodigiorgio: “Quando ho iniziato a scrivere era già chiaro che questo fosse un percorso in divenire, dovevo cominciare dall’eliminazione delle aspettative. Non era la prima volta che scrivevo musica per un disco, ma sicuramente la prima in cui mettevo la mia voce al centro e le parole, le mie suggestioni più intime. Avevo tanta voglia di provarci e di riuscirci, ma allo stesso tempo non sapevo da dove cominciare. Sicuramente l’incertezza e l’inquietudine sono state il motore per cercare di sbloccare qualcosa dentro di me.
Una persona scrive per necessità se no è anche giusto non farlo. Io ne ho sentito proprio il bisogno e devo dire che l’ho fatto per me e per cercare di crescere prima di tutto. Siamo abituati ormai a confrontarci continuamente col mondo fuori come se il metro della tua felicità sia determinato dalla tua capacità di stare al passo con i tempi. Sto cercando di disintossicarmi letteralmente guardando dentro di me e di cosa realmente mi fa stare bene nella relazione che ho con il mondo e le cose che esistono”.
Chi ha collaborato con te alla realizzazione del disco?
Pocodigiorgio: “Ci sono stati dei collaboratori ma tengo a precisare che il disco l’ho prodotto in circa un anno e mezzo di scrittura per lo più in solitudine ma non sono mancati i confronti e l’aiuto di molti amici che mi hanno aiutato a fare chiarezza sulla direzione che stavo prendendo.
Per quanto riguarda le batterie, che sono state registrate in parte nel McFarland Recording di Guglielmo Torelli, ho chiesto il punto di vista anche tecnico di due grandi artisti: Vincenzo Messina che ha eseguito 7 dei 9 brani del disco e Francesco Benizio che ha suonato la batteria su ‘La Vita Nel Cosmo’. Daniele D’Alessandro, che è amico e un grande clarinettista, ha anche suonato un Synth su ‘Dimmi Come Fai’. Dopo aver concluso la produzione mi sono affidato alle orecchie e alla creatività di Davide Bombanella per il Mix e il Mastering”.
Mi racconti le storie dietro ogni singolo brando de “La vita nel Cosmo”?
Pocodigiorgio:“Incertezza è una canzone che rappresenta lo sforzo che ci vuole nel reinventarsi, gli alti e bassi che si vivono quando si mette in gioco la propria creatività e il proprio io nel vivere in città.
La Strada nasce dal suo ritornello, curiosamente prima dello scoppio della guerra cominciata nel 2022, con l’idea di raccontare un futuro distopico che sembra essere quasi il film del presente: noi siamo registi, attori, speculatori. Il pezzo è anche un tributo all’omonimo capolavoro di Cormac McCarthy.
Formica è una canzone che parla di noia e lentezza, turismo di massa e Bologna caldissima d’estate. Oggi il senso di collettività è globale e forse per questo ci sentiamo spaesati, e negli alveari non esistono più davvero le comunità. Ogni volta che parlo con qualcuno noto che ciò che ci fa brillare sono solo i nostri racconti, i ricordi che condividiamo.
Dimmi Come Fai è una canzone d’amore che si rivolge ad un amore leggero, quello che è sempre presente e non ti chiede l’orario, che non si giudica continuamente e non si dà delle arie.
Atomi è il pezzo con il ritornello più rock del disco, un tributo al mio amore per il grunge. Racconta l’impossibilità di spiegare se stessi fino in fondo con le parole, e anche la mancanza di senso che ne consegue. Questo brano è un riflessione sulla divisione tra il linguaggio mondano e la continua necessità di autodefinizione.
Supernova è un pezzo ironico dove siamo tutti protagonisti. L’individualismo è il prodotto più venduto oggi e ci inventiamo di tutto di sana pianta per dare un’immagine edulcorata di noi, nel bene e nel male. Sono stato tanto tempo solo un chitarrista e prima scrivevo musica strumentale partendo molto dal mio strumento. Mi piace l’idea di fondere il suono dei riff rock nordamericani con le armonie più estese e espandendo e contraendo le progressioni.
Pesce Rosso è il racconto di un amore che ha spazio solo per sé. Storie che si consumano in piccole stanze dove le persone rimbalzano come schegge impazzite sui muri continuando a urtarsi bruscamente. Ho usato gli archi del Mellotron perché è un suono che adoro.
La Vita Nel Cosmo è la canzone che dà il titolo al disco: un corale con una struttura progressiva che ha solo un brevissimo ritornello. L’ho pensata quando con un amico, dopo una serata in giro per Bologna, ci siamo fermati a guardare il cielo. A me appassiona un sacco l’astronomia e volevo solo riflettere sulla fortuna che abbiamo nel sapere di esistere, nonostante tutto.
Il Senso Di Me è l’unico pezzo chitarra e voce. La ripresa è un provino che ho voluto lasciare così perché era intimo. Mi chiedo spesso, tra me e me, quale sia il modo giusto di vivere cercando costantemente la felicità. La lentezza riempie sicuramente lo spirito”.
Improvvisamente ti ritrovi a essere nominato Ministro della Cultura. Quali sono i primi provvedimenti in ambito musicale che prenderesti?
Pocodigiorgio: “Domanda difficile e risponderò di pancia poiché mi sento un profano. Ho affrontato un lungo percorso istituzionale: sono diplomato in conservatorio. Nel mio percorso mi sono appassionato e mi sono sentito sfiduciato diverse volte. Ho sentito però che questa passione venisse da dentro più che dal rapporto con l’istituzione.
Oggi è raro trovare docenti che vivano il processo di insegnamento come una missione, questo forse perché c’è molta frustrazione dentro e fuori dalle istituzioni, c’è tanta precarietà e poco lavoro per tutti. Intanto aprirei le cattedre di Jazz nei licei musicali perché per tanta gente come me non c’è spendibilità per il proprio titolo di studio e le graduatorie dei conservatori sono spesso interne e favoriscono un sistema di lobbying”.